Tuttofabrodo ha una storia tutta sua, complessa e intensa. È stato uno dei primissimi locali a specializzarsi su pochi prodotti asiatici a Torino e a voler far conoscere lo Xiao Long Bao. La ricerca che c’è dietro ad ogni ricetta è pazzesca e la materia prima è accuratamente selezionata, dalla farina, ai tè e alle birre.
Siamo andati a parlare con Elisa, la proprietaria, che ci ha raccontato di un progetto che sembrava quasi impossibile da realizzare. Ma dopo tanta fatica e soprattutto determinazione Tuttofabrodo è diventato realtà.
- Come nasce l’idea di Tuttofabrodo?
- Che esperienze hai fatto prima di entrare nel mondo della ristorazione?
- Perché avete scelto il format del fast casual dining?
- Alle recensioni rispondete?
- Chi è il cliente abituale di Tuttofabrodo?
- Essere una donna imprenditrice è difficile?
- Avete difficoltà con il personale?
- Avete iniziato un progetto quasi impossibile per molti ma siete riusciti a risolvere molte incognite. Qual è stata però la difficoltà più grande?
- Come gestite il tema sostenibilità?
- È stato difficile trovare i prodotti adatti?
- Quanto Deliveristo ti aiuta nella gestione del tutto?
Come nasce l’idea di Tuttofabrodo?
Io e mio marito abbiamo vissuto in Cina per lavoro, lui è stato a Shanghai mentre io a Singapore. In quel periodo ci siamo entrambi interessati molto ai ravioli cinesi, in particolar modo agli Xiao Long Bao. Rispetto ai classici ravioli hanno un cuore di brodo e un ripieno che rimane quasi cremoso.
Vivere in Cina mi ha dato un assaggio del mondo asiatico che mi sono poi portata a casa. Dopo qualche anno che eravamo tornati in Italia, ho deciso di lasciare il lavoro, tornare in Cina e approfondire la conoscenza sui ravioli.
Ho seguito così un corso che mi ha permesso di capire la complessità nella preparazione di questi ravioli che sta proprio nella gestualità. Inoltre le ricette non vengono divulgate, sono tenute il più possibile segrete. Sono quindi in pochi a sapere come fare degli ottimi ravioli.
Sono così tornata in Italia con l’idea di aprire un mio locale ma con cuochi esperti che avessero già lavorato nelle catene di ravioli più famose. Ai tempi il prodotto che volevo proporre ancora non esisteva in Italia.

Che esperienze hai fatto prima di entrare nel mondo della ristorazione?
La mia personale passione per il mondo del food è stata molto influenzata dagli studi. Prima ho fatto l’Università di dietistica e poi la magistrale in Scienze Gastronomiche a Pollenzo. Successivamente ho iniziato una carriera nel marketing durata circa 3 anni. Questo periodo mi ha fatto maturare molto e mi ha preparata alle responsabilità che ti richiede il lavoro imprenditoriale. Non è stato facile decidere di lasciare un contratto indeterminato.
La scelta alla base di lasciare il mio lavoro e aprire qualcosa di mio è probabilmente dovuta ad una mia indole imprenditoriale. È molto stressante, c’è molta pressione e non stacchi mai: anche se non sono in ristorante sono sempre reperibile. Però è proprio questa adrenalina che mi piace e che anche nei giorni difficili mi fa andare a letto soddisfatta. Questa parte di essere sempre stimolata mi mancava quando ero dipendente.
Perché avete scelto il format del fast casual dining?
Non avendo un locale grande abbiamo optato per un format semplice e veloce. I menù sono già al tavolo, non abbiamo una carta dei vini e non prendiamo prenotazioni. Tutti questi fattori velocizzano il servizio e ci permette di far girare un tavolo anche quattro volte. Se non fosse così, dovremmo alzare il costo dello scontrino medio perché altrimenti non riusciremmo a stare in piedi.
Per fortuna abbiamo un bel giro e spesso si forma la coda per entrare. Le persone che hanno compreso e accettato questo format non hanno problemi ad aspettare di sedersi. Ai clienti che non piace attendere consigliamo sempre di arrivare tra le 19 e le 20. Cerchiamo di gestire nella maniera più smart possibile: usiamo anche un’app su cui i clienti si registrano ad una coda ‘virtuale’ e vengono avvisati quando il tavolo è in preparazione. Questo gli permette di non attendere fuori al freddo o in piedi.
Cerchiamo di non “innamorarci” troppo del progetto per restare imparziali in modo da essere molto attenti ai feedback. Se qualcosa non va, vogliamo capire perché e come potremmo migliorare. Un esempio sono le recensioni iniziali che contestavano la quantità delle porzioni di cui abbiamo poi aumentato la grammatura.

Alle recensioni rispondete?
Cerchiamo di rispondere sempre con risposte diplomatiche e non di pancia.
La maggior parte delle recensioni sono positive ma ci sono anche quelle negative. Abbiamo notato che infastidisce il fatto che i piatti non abbiano un gusto orientale al 100%. I nostri piatti sono eseguiti con la tecnica cinese ma i gusti sono un po’ diversi da quelli originali. Questo perché il gusto medio occidentale non apprezza i sapori molto forti delle spezie come ad esempio il cumino o pietanze troppo piccanti. Questo crea un po’ di scetticismo soprattutto da chi conosce di più le preparazioni originali.
Poi non piace il fatto che non prendiamo prenotazioni e per questo abbiamo già cercato di rendere il servizio il più confortevole possibile ma non tutti lo comprendono.
Chi è il cliente abituale di Tuttofabrodo?
I clienti che tornano sono coloro che capiscono il prodotto e il suo valore. Solitamente sono persone che hanno studiato e viaggiato. Non c’è un’età ben definita perché anche le persone di 70 anni sono molto contente di venire da noi.
Essere una donna imprenditrice è difficile?
In fase di apertura quasi tutte le persone con cui mi sono interfacciata erano solo uomini, dai colleghi ai fornitori. C’era chi mi diceva che non avendo alcuna competenza in cucina avrei avuto molte difficoltà. Mi sono però resa conto che se studi riesci.
Poi una critica abbastanza comune era sul fatto che non volevo usare una macchina per fare gli impasti ma fare invece tutto a mano. Se noi usassimo la macchina il prodotto sarebbe identico a tutti gli altri ristoranti cinesi e nella mia testa avevo un’idea ben diversa. I dischi di pasta che facciamo noi sono il fulcro della ricetta che donano leggerezza. È vero che ci mettiamo molto o più tempo ma la qualità è diversa.
Molte persone mi hanno detto “Cosa fai?”, “Ma hai anche una figlia” “Guarda che aprire un’attività è complicato e stancante”. Questo è vero: il lavoro è pesante e la logistica con un bambino è difficilissima ma si può fare tutto con la giusta organizzazione. La differenza e la chiave è la passione per questo progetto.
Inoltre in quanto donna praticamente tutte le cose che dicevo e decidevo venivano sminuite o messe in dubbio. Anche il colore blu che ho scelto per le pareti del locale mi è stato criticato.
Ci sono stati tanti momenti in cui ho pensato che stavo facendo male: mi sembrava di andare contro i mulini a vento. Forse la parte difficile è pretendere da sé stesse di dover per forza fare tutto. Bisogna capire quando chiedere aiuto senza troppe giustificazioni e sensi di colpa.
Avete difficoltà con il personale?
Ho cercato di creare un team che funzionasse e stesse bene assieme ma il mondo dei dipendenti non è facile. In sala te ne accorgi subito se il team non funziona bene e se non crede nel progetto. Quello che cerchiamo di fare è creare un gruppo solidale con team building, cene aziendali e diverse attività. È importante far passare la cultura aziendale ai ragazzi e soprattutto risolvere i problemi al nascere.
Anche il personale in cucina è un tema molto complesso. Non è semplice trovare la persona giusta che rimanga per più di pochi mesi. Il problema è che queste ricette richiedono molta preparazione che non si può acquisire in poche settimane: se non le fai costantemente perdi la velocità e la manualità. Ci vuole un ottimo know how e per raggiungerlo servono circa 6 mesi.
Mi sembra che il problema non siano i contratti oppure l’insoddisfazione. Anche perché quando trovo le persone adatte cerco di dare più responsabilità possibili. Anche gli studenti universitari molto giovani hanno possibilità di crescita. Il fatto è che le persone cambiano idea molto velocemente. Non è semplice creare un team affiatato se il turnover è elevato.

Avete iniziato un progetto quasi impossibile per molti ma siete riusciti a risolvere molte incognite. Qual è stata però la difficoltà più grande?
La più grande difficoltà è stata quella di far venire persone da fuori l’Italia. Era periodo Covid e i permessi di soggiorno italiani sono molto complessi da avere. Non è come in America che basta avere uno sponsor e puoi entrare nel paese: da noi ci vogliono tante pratiche burocratiche. Per fortuna abbiamo trovato la soluzione nei visti per start up, una cosa molto complicata da avere perchè ne rilasciano molto pochi.
Ora mi sto occupando delle pratiche per far arrivare le famiglie dalle Filippine. È molto frustrante perchè nessuno ti aiuta. Inoltre per un ricongiungimento famigliare ti chiedono una reggia, un comune affitto non va bene. Per un bambino minore vogliono 14 metri quadri di camera e ti richiedono anche certificazione per la casa che all’italiano non chiedono. È molto complesso.
Come gestite il tema sostenibilità da Tuttofabrodo?
Abbiamo avuto attenzione fin dall’apertura, dalle sedie fatte con plastica riciclata alla fase operativa. Cerchiamo di limitare gli sprechi grazie a delle previsioni di vendita che calcolo su un foglio excel. Ci è voluto circa un mese per definirlo al meglio ma ci permette di capire esattamente quello che ci serve per ogni ricetta e porzione. È tutto computerizzato quindi il margine di errore è molto basso.
Dall’anno scorso, inoltre, abbiamo iniziato a calcolare l’impatto di CO2: sul menù è possibile vedere quali sono i prodotti che impattano di meno.
Inoltre abbiamo inserito negli ultimi anni più ricette vegane e vegetariane perché appena aperti avevamo solo un paio di offerte. Preparare un piatto vegan che sia ben fatto e che abbia un risultato finale paragonabile a un prodotto animale richiede tanta ricerca e sviluppo. Un esempio? Il ramen vegano ha richiesto 3 mesi di lavoro. Anche i dolci sono vegani con fagiolo rosso e cioccolato fondente che non ha neanche ile lattosio. Il cliente vegetariano questo lo apprezza molto perché ha diverse scelte e posso dire che anche i clienti non veg sono molto soddisfatti quando li provano.
È stato difficile trovare i prodotti adatti?
Abbiamo fatto tanti test in cucina dove è stata lunga la decisione sulla birra dove abbiamo infatti provato 10 fornitori prima della scelta finale. Alcuni ingredienti che poi vorremmo utilizzare e che sono tradizionali nelle ricette non sono reperibili in Italia.

Quanto Deliveristo ti aiuta nella gestione del tutto?
Abbiamo iniziato a collaborare con Deliveristo fin da subito perché ci è piaciuto il progetto e ci è sembrata una gestione molto smart. Essendo molto carica di lavoro gestire tutto con un’app è stato assolutamente comodo.
Usare la vostra applicazione ci permette di snellire tutta la parte di ordini. Poi il customer service è disponibile per qualsiasi cosa e mi piace molto il fatto di avere il referente di zona che ci consiglia e ci aiuta per particolari esigenze.
Sicuramente per noi che siamo uno staff giovane piace lavorare con una start up composta da giovani: siamo più sulla stessa linea d’onda.