Intervista a Federico Sordo di Distreat

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La consapevolezza e la determinazione hanno sempre accompagnato lo chef e proprietario di Distreat Federico Sordo nel suo percorso ristorativo iniziato fin da giovane. Tante sono state le esperienze in ristoranti importanti prima di iniziare ad avere una propria attività a pochi passi dai Navigli di Milano.

Abbiamo parlato con Federico del suo vissuto e di come l’ambiente lavorativo in ristorazione sia cambiato da quando ne fa parte.

Raccontaci il tuo percorso prima di arrivare qui a Distreat

Fin dal liceo sapevo che volevo lavorare in cucina. Ho avuto la fortuna di conoscere Davide Oldani che mi ha invitato a lavorare da lui ed è stato un momento bellissimo nella mia vita perchè ho potuto vedere una cucina di professionisti. Mi sono così reso conto di cosa voglia dire stare in una cucina, in una brigata e dei sacrifici che comporta. Dopo il primo anno ho iniziato a girare un po’ e sono stato da Sadler, da Ceresio 7, Da Vittorio, al Park Hyatt, Al Ratanà e poi nel 2019 sono venuto a Distreat. 

Iniziando a lavorare in cucina cosa ti ha motivato e cosa non ti aspettavi di questo mondo?

Indubbiamente avevo la passione per il lavoro manuale e la soddisfazione che avevo quando riuscivo a fare una ricetta era qualcosa di impagabile. Ho iniziato con molta calma, il primo mese facevo solo mezza giornata e quando tornavo a casa rifacevo le ricette che avevo fatto la mattina: ero entusiasta, inebriato e tutto quello che vedevo cercavo di farlo mio. 

La cosa che non mi aspettavo era il clima generale di una cucina. C’è una rigidità militaresca che se non hai mai visto ti spaventa un po’. Io, non avendo fatto l’alberghiero, avevo un’idea totalmente romanzata della cucina. Ci sono delle situazioni in cui la tua determinazione viene messa alla prova, non è sempre facile farsi scivolare addosso certe cose e l’errore deve essere maggiormente tollerato anche perché senza non c’è crescita personale e professionale. Mi rendo conto che in questo momento la ristorazione italiana deve essere riscritta. 

Cosa ne pensi delle retribuzioni nella ristorazione?

Per il problema del costo degli stipendi per i ristoratori una soluzione potrebbero essere le mance obbligatorie come negli Stati Uniti. In Irlanda, sopra le 6 persone, c’è una commissione aggiuntiva dovuta alla maggiore complessità del servizio. In italia siamo sempre stati un po’ abituati ad attrarre le persone con i prezzi al ribasso ed è difficile ora fare un cambio di paradigma e far pagare il giusto prezzo. 

Il lato umano della gestione dei dipendenti è una tematica complessa. Una cosa che oggi manca nei ragazzi molto giovani è l’ambizione: non riescono tanto a sognare guardando al futuro. Ho parlato con alcuni giovani e sognano di star bene ma non hanno la consapevolezza dei sacrifici e della fatica.

L’imprenditore ha una grande responsabilità sui dipendenti e bisogna imparare a guardare i numeri e saperli gestire. Io, dopo 10 anni di operatività, mi sono rimesso a studiare perché ho capito che non sapevo ben gestire i conti e bisogna tener sotto controllo determinati aspetti. Il corso che sto seguendo dura due anni e consiste nel riuscire a gestire tutti gli aspetti di un’azienda: è una formazione a 360°. 

Un esempio positivo che hai visto e che hai ritenuto importante nel gestire una brigata?

Una cosa molto bella, in un posto per cui lavoravo, era che il sabato mattina ci si fermava tutti assieme per mezz’ora per fare colazione e chiacchierare. In un altro posto, invece, 2-3 volte all’anno si chiudeva il ristorante per fare un’esperienza tutti assieme come andare a trovare un fornitore e fare una degustazione. Chiudere un’intera giornata ha un costo molto importante ma queste attenzioni fanno la differenza per il benessere del team. In generale non si hanno grandi opportunità di questo genere.

Nella ristorazione mancano il tempo, la sensibilità e cambiare non è così scontato. Prima c’era chi era disposto a lavorare nella ristorazione con i mille sacrifici ma ora non è più così perché le generazioni stanno cambiando e vogliono cose diverse.

Secondo te come cambierà il mondo della ristorazione e quali potranno essere possibili soluzioni?

Penso che potrebbe cambiare lo scenario e ci potrebbe essere una riduzione della componente umana a favore delle tecnologie che stanno nascendo ora. Potrebbe essere  triste pensarlo, però se non ci sono più gli addetti disponibili a lavorare, piuttosto che chiudere i ristoranti, potrebbe essere una soluzione alternativa.

Un altro scenario è che la ristorazione d’alto livello diventerà ancora di più per pochi perché la manodopera sarà sempre meno,più ricercata e quindi più costosa. Chi potrà permettersi di avere tante mani dovrà pagare molto. 

Tutto ciò può essere evitato cambiando il sistema: garantire le 8 ore di lavoro, proporre un turno unico e non fare lo spezzato. Bisogna dare la possibilità di poter pagare bene le persone e per questo serve il sostegno della politica.

Cosa ne pensi del progetto Deliveristo?

Deliveristo è sicuramente un grande progetto, comodo e utile. Permette di avere la visione a 360° dei prodotti e  a volte serve per cercare l’ispirazione perché ti permette di scorrere la vetrina di fornitori per trovare sempre qualcosa di particolare e di nuovo a cui non avevi pensato. Questa possibilità fidelizza il cliente. 

Progetti futuri sia personali che lavorativi?

Trovare un equilibrio fra vita privata e lavoro è un obiettivo importante. Bisogna riuscire a dimostrare che questo lavoro si può fare senza diventare matti. L’obiettivo lavorativo, invece, sarebbe aprire un altro locale. 

Cosa ne pensi delle cene in collaborazione e a quattro mani?

In Italia ancora non è molto presente come in altri paesi ma forse sta arrivando. Sicuramente ora esiste di più l’idea di lavoro collettivo ed è una cosa positiva perché più si crea una rete e più riesci ad essere forte quando si fa gruppo. 

Scritto da Erica Fifield

2 Ago, 2023

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