Gastronomie Italiane nasce in seguito ad un viaggio lungo 18 mesi. Davide sceglie di seguire la sua passione, l’agroalimentare e visita decine di aziende, piccoli produttori, realtà che in seguito descriverà come “cultori del sapere”. Davide Lucini porta le eccellenze dei produttori dello stivale a un mercato più ampio.
- Come nasce Gastronomie italiane?
- Quali sono i vostri principali clienti?
- Si può quindi dire che come Ho.Re.Ca. il mondo aperitivo la fa da padrona?
- C’è un prodotto che esprime il concetto di risparmio di tempo nelle realtà ristorative?
- Come nasce una nuova referenza per Gastronomie Italiane?
- Hai parlato di mercato, lo studio del mercato è fondamentale nella creazione di nuovi prodotti?
- C’è un prodotto in catalogo per cui la ricerca è stata più lunga?
- Le cotture possono essere quindi un limite per i vostri prodotti?
- Nuova gamma in arrivo?
- Rimanendo al periodo storico, il covid ha cambiato le vostre dinamiche?
- Un esempio a riguardo?
- I fornitori di materie prime sono tutti italiani invece?
- Come mai non avete prodotti biologici?
- Si può fare un discorso simile sui conservanti?
- C’è un prodotto che credi possa decollare nei prossimi mesi?

Come nasce Gastronomie italiane?
Gastronomie italiane nasce in seguito ad un viaggio che mi porta a visitare decine di micro-produttori agroalimentari del territorio, esperienza straordinaria a livello umano e culturale. Nel mentre mi rendo conto che tutte queste realtà avevano un comune denominatore, erano tutte custodi del saper fare, del trattare materia prima e trasformarla, ma erano in grande difficoltà con la rete commerciale. Vendevano nei limitrofi, nell’arco di 5/10 km di dove loro producevano; questo però creava una mancanza di prospettiva.
Così mi chiedo se fosse possibile creare un catalogo delle migliori produzioni del territorio e portarlo in mercato più grande, portare la tradizione locale anche a consumatori che non la vivono direttamente. E direi che ci siamo riusciti.
Voglio solo precisare una cosa: Gastronomie Italiane nasce non solo come azienda selezionatrice, ma come diretta produttrice. Abbiamo una produzione annua dislocata che portiamo nel nostro magazzino centrale prima di essere distribuita principalmente nel Nord-Ovest Italiano. Abbiamo anche la soddisfazione di poter garantire un anticipo finanziario alle aziende con cui collaboriamo.
Quali sono i vostri principali clienti?
I nostri volumi di vendita sono indirizzati su due fronti: Il retail, nostro principale canale, il quale porta i nostri prodotti nelle gastronomie italiane, principalmente nel Nord-Ovest Italia e il mondo Ho.Re.Ca., wine bar, cocktail bar, e piccoli bistrot. Tendenzialmente locali che lavorano nella concezione di aperitivi di qualità. Indubbio che i formati nei due mercati siano differenti.

Si può quindi dire che come Ho.Re.Ca. il mondo aperitivo la fa da padrona?
Sì assolutamente. Fornendo semilavorati pronti ad assemblaggio o da veloce completamento, il mondo aperitivo permette di utilizzare buona parte del nostro catalogo. Prodotti per finger food, prodotti per tapas, verdure essiccate usate come patatine, olive verdi di Cerignola o Taggiasche liguri, sott’oli e sott’aceti adatti ad ogni tagliere.
Ogni prodotto è costante in organolettica e modalità di preparazione senza gravare sulla realtà ristorativa.

C’è un prodotto che esprime il concetto di risparmio di tempo nelle realtà ristorative?
Direi la caponata, inserita un anno fa, sta vendendo molto sia nelle realtà Ho.Re.Ca che Retail.
Le realtà ristorative che l’hanno inserita in menù è vero che la pagano di più rispetto alle singole materie prime che la compongono, ma se si somma il costo energetico di preparazione, i tempi di preparazione, la differenza di materia prima tra Luglio e Settembre, che impossibilita una costanza organolettica nel tempo, possiamo capire perché il prodotto ha tanto successo. Senza dimenticare la costanza di Food Cost che permette di garantire certezze nel bilancio annuale. Questo è solo un esempio che fa capire il concetto dietro i prodotti di Gastronomie Italiane.

Come nasce una nuova referenza per Gastronomie Italiane?
La genesi è la passione che mi porta a vivere il mondo food a 360 gradi. Nelle ore fuori lavoro vado da clienti, in ristoranti e in aziende che possono essere d’ispirazione. Da lì poi si cerca nel territorio una Cultivar che possa fornire una grande materia prima, e infine si parla con il Tecnologo Alimentare (mio braccio destro) per capire se si possa realizzare un prodotto adatto alle nostre esigenze.
Un esempio sono le peschiole, nostra nuova referenza. Sono delle piccole pesche tipicamente campane che sembrano delle olive. Notate durante un viaggio le ho trovate subito molto interessanti. Quindi si cerca materia prima e il modo migliore per lavorarla con lo scopo di creare un prodotto diverso da quello che c’è già sul mercato. Passione e curiosità sono essenziali in questo ambito per smuovere la mente, poi uno spirito critico che completi il tutto.
Hai parlato di mercato, lo studio del mercato è fondamentale nella creazione di nuovi prodotti?
Assolutamente sì. Stiamo infatti inserendo una gamma di rubs, vista la tendenza degli ultimi anni del Barbecue slow cooked con carni marinate a secco. Notando i grandi numeri di importazione di questi prodotti ci siamo detti: “perché non facciamo noi una gamma Italiana Rubs?”.
Una serie di spezie che possano essere affini ai nostri gusti senza doverci basare solo su quelli americani, di conseguenza andando a capire l’organolettica che noi preferiamo. Quindi anche un’analisi di mercato è fondamentale nella ricerca di nuovi prodotti.

C’è un prodotto in catalogo per cui la ricerca è stata più lunga?
Direi per i nostri porcini sott’olio. Ho girato oltre 20 laboratori per cercare chi facesse una ricetta adatta al fungo che volevo io. Tutti si basavano su una ricetta del 1920 dove avviene la sbianchitura del fungo in acqua e aceto ed è quindi come lessato.
La ricerca però mi ha portato in un laboratorio che stava lavorando a un nuovo metodo: la cottura a vapore. La materia prima non rimane bellissima, ma il ventaglio organolettico rimane all’interno del porcino. E per quanto possa sembrare banale, è un concetto che nel mercato di oggi è innovativo. Il mercato ci ha dimostrato che avevamo ragione, perfino in Valtellina, dove vendono porcini sott’olio da oltre 60 anni, ci hanno richiesto casse e casse di prodotto.

Le cotture possono essere quindi un limite per i vostri prodotti?
Si, e il reparto dry necessita della pastorizzazione così che il prodotto abbia una shelf life lunga e stabile. L’inserimento di semi-freschi o freschi in catalogo eviterebbe tale pratica.
Nuova gamma in arrivo?
Esattamente, la nuova gamma sosterrà il concetto di prodotti pronti all’uso o con solo lo scopo di essere rinvenuti.
Come le carni cotte a bassa temperatura, che permettono un veloce passaggio in piastra o al forno mantenendo alta la qualità e bassi i numeri in brigata, i quali sono sempre più un problema nella ristorazione di oggi. Anche il baccalà mantecato fresco verrà inserito, essenziale per aperitivi in stile finger food; basti pensare che non c’è enoteca che lo voglia proporre a menù.
Lo scopo è permettere anche in spazi piccoli di ottenere piatti gourmet che non impieghino una brigata. Tornano anche qui concetti di food cost e di risposta alla mancanza di personale che il periodo esige.

Rimanendo al periodo storico, il covid ha cambiato le vostre dinamiche?
Non c’è stato un grande cambiamento, devo essere sincero ma sicuramente c’è stato un altalenamento dei consumi, quello sì.
Nella fase post, dove spero di trovarci, c’è invece una grande difficolta sul servizio più che sul prodotto. Perché mantenere alta e costante la qualità del servizio è difficile. Il consumatore non si rende conto, ma nella filiera è difficile mantenere certezze di approvvigionamento di tempi e modi, sia di prodotto che di accessori al confezionamento.
Un esempio a riguardo?
Il vetro. Non venendo commercializzato in Italia, ma dovendo combattere con un mercato estero, mi trovo a volte i magazzini di “vetro” in difficoltà. Anche sui costi è cambiato tutto. La materia prima ovvero i silicati costano poco, ma l’energia che serve per fonderli è molta e con l’aumento dei prezzi odierni un barattolo che prima mi costava 1 adesso rischia di costarmi 7.
Tutti questi elementi che il consumatore non percepisce, nel completamento di una gamma molto assortita come quella di Gastronomie Italiane porta difficoltà.
Anche l’approvvigionamento di prodotto premium nella ristorazione è cambiato. Dove prima l’eccellenza veniva pagata 10 ora si cercano prodotti di grande qualità ma con continua gestione dei costi di fornitura. Questo è un’altra differenza che ho notato sulla vendita di prodotto in post pandemia.

I fornitori di materie prime sono tutti italiani invece?
Esatto, e sono variegati anche come volumi aziendali. Per fornire una gamma completa dal punto di vista commerciale serve il piccolo e il medio produttore. Il punto fondamentale però è che noi siamo i produttori diretti del trasformato. Scegliamo materia prima, cultivar, trasformazione, pastorizzazione e packaging. Il concetto è un po’ quello di un consorzio, senza però la forma legale di quest’ultimo.
Non abbiamo l’intenzione di crescere troppo, di diventare una grande azienda, però abbiamo la soddisfazione di ricevere chiamate da piccoli laboratori per collaborare con noi, mentre prima era decisamente il contrario. Questo è sicuramente interessante e stimolante.
Come mai non avete prodotti biologici?
Altro bell’argomento. Non voglio fare l’imprenditore “lamentone” ma il problema è burocratico. Noi compriamo molti prodotti biologici, che facciamo lavorare in laboratori certificati biologici, ma che una volta trasformati secondo nostra ricetta e commercializzati come Gastronomie Italiane non possono essere certificati come tali. Nonostante lo siano completamente. Dobbiamo obbligatoriamente ri-certificare il prodotto. Una serie di passaggi che costano molto e che per politica aziendale scegliamo di non fare.
Noi basiamo il nostro nome sulla qualità e pur perdendo un plus come quello Bio, scegliamo di percorrere questa strada.

Si può fare un discorso simile sui conservanti?
Nei prodotti a lunga conservazione i conservanti non sono un’opzione, ma spesso e volentieri sono una necessità. Detto ciò, dello stesso elemento c’è un uso coscienzioso e uno grossolano. Come può essere con i solfiti nel vino, ci sono aziende che ne fanno uso utile alle necessità tecnologiche e aziende che ne mettono senza concezione. Quindi studio e ricerca permettono di usare nella misura giusta il conservante scelto, ma soprattutto il conservante adatto e meno invasivo. Come ad esempio l’acido citrico, che rispetto ad altri additivi chimici, è un conservante naturale molto usato da Gastronomie Italiane.
Poi voglio fare un altro esempio: le olive nere. Poche sono le cultivar da cui si ottengono olive di colorazione scura.
Quando nel mercato si trovano olive nere, spesso e volentieri sono colorate a causa di un ossido di ferro che agisce anche da conservante. Noi in catalogo non abbiamo olive nere, ma solo nere naturali, come le taggiasche, perché non è nella nostra politica avere prodotti alterati, piuttosto non scegliamo di non avere quel prodotto in gamma.

C’è un prodotto che credi possa decollare nei prossimi mesi?
Tutta la gamma che stiamo per inserire si prospetta essere un grande successo in termini di crescita.
