Proprio dietro il celebre Museo Egizio di Torino si può trovare Tabui, un punto di riferimento del tartufo di questa città piemontese. L’offerta del menù è particolarmente rivolta al tartufo, il re indiscusso del Piemonte ed è accompagnata da un’interessante carta dei vini sia regionali che francesi.
Tabui è legato ai concetti di territorialità e connessione con la tradizione e per questo motivo il trifolau è una figura estremamente importante per il locale. Abbiamo parlato con Tommaso Vaccaro per saperne di più sul tartufo e quali siano i trend positivi e negativi che la ristorazione sta vivendo a Torino.
- Raccontaci del legame che Tabui ha con il territorio
- Come hai conosciuto il tuo socio Lorenzo?
- Siete nati proprio poco prima del Covid, com’è stato per voi?
- Chi è la clientela di Tabui?
- Tornando sul discorso del tartufo e della stagionalità, puoi dirci di più?
- Come mai il tartufo è un alimento così pregiato?
- Qual è, secondo te, la migliore maniera per vendere e gestire il tartufo?
- Miti da sfatare sul tartufo?
- E per quanto riguarda i vini cosa suggerisci?
- Cosa ne pensi del progetto Deliveristo?
- Quali sono i nuovi trend che hai notato?
- Il problema del personale è sentito anche a Torino?
Raccontaci del legame che Tabui ha con il territorio
L’obiettivo di Tabui è di portare la Langa nel centro di Torino e di promuovere un prodotto rappresentativo della regione ma che a Torino si trova a macchia di leopardo: il tartufo.
La cosa interessante è che si conoscono i tartufi più famosi (come il nero e il bianco) ma in realtà esistono tante tipologie di tartufi in diversi periodi dell’anno e questo ci permette di promuovere questa eccellenza del territorio durante tutte le stagioni.
Abbiamo due menù: il primo si concentra esclusivamente sul tartufo con i classici come l’uovo pochè o al padellino e così via mentre l’altro è un richiamo alla gastronomia del territorio con rivisitazioni dei grandi classici piemontesi.

Come hai conosciuto il tuo socio Lorenzo?
Ci siamo conosciuti un anno prima di partire con Tabui. Io avevo fatto il corso da sommelier ma sostanzialmente mi occupavo di giornalismo e di comunicazione. La proposta è arrivata da Lorenzo che già gestiva un ristorante qui a Torino.
Ora io seguo la parte dei vini e Lorenzo invece la parte della cucina. Da quest’anno introdurremo maggiormente vini naturali e biodinamici che ci piace chiamare artigianali.
Siete nati proprio poco prima del Covid, com’è stato per voi?
Siamo nati nel momento peggiore, qualche mese prima del caos della pandemia. È stato un periodo difficile: a febbraio del 2020 non entrava nessuno e le ripartenze sono state complicate e lunghe. Il nostro vantaggio è stato di trovarci in una posizione strategica: siamo vicini alla stazione e ad un passo dal Museo Egizio che attira tantissimi turisti. Inoltre siamo in una via pedonale ed è quindi molto tranquillo.

Chi è la clientela di Tabui?
Tabui si sta trasformando molto sotto questo aspetto. Inizialmente era una clientela principalmente torinese ma forse era il Covid a influenzare questo dato perchè ora ci sono tanti turisti e giovani.
C’è questa strana idea che chi non è di qui è abituato a mangiare male e si accontenta di tutto ma non è vero. Per lo meno, quelli che vengono nel nostro locale, sono molto esigenti e preparati.
Tornando sul discorso del tartufo e della stagionalità, puoi dirci di più?
Spesso, quando mi chiamano mi chiedono che tartufo ci sia e se dico che è il periodo del tartufo nero pregiato le persone non sono soddisfatte, perchè viene considerato inferiore a quello bianco. Però bisogna capire che non esiste “il” tartufo nero ma ce ne sono tante varietà diverse che cambiando in base alla stagione ma anche in base alla regione.
Il tartufo nero è sottovalutato perchè alcuni sono davvero molto buoni, per esempio il tartufo moscato è fantastico: ha sentori erborinati e sa di bosco. Purtroppo come accade anche per i vini, l’etichetta e lo status condizionano tantissimo il consumatore.
Negli ultimi anni, inoltre, il tartufo è diventato un trend e non è più un prodotto di nicchia. Ora esistono tanti sottoprodotti e additivi che emulano il sapore del tartufo ma spesso hanno un sapore molto più forte e aggressivo del tartufo fresco che, al contrario, è un prodotto delicato. Questo crea una percezione sbagliata nel consumatore che ricerca quella fragranza forte ma non realistica.
Come mai il tartufo è un alimento così pregiato?
Il motivo per il quale costa così tanto è che non esiste un’industria del tartufo ma sono tanti piccoli raccoglitori convogliati nella media distribuzione. Questo prodotto inoltre non si conserva per molto tempo. Per esempio il bianco dopo 4-5 giorni inizia ad asciugarsi perdendo peso e valore.
In aggiunta con il cambiamento climatico non sta piovendo nei momenti giusti e questo è un problema che tocca molti settori, come quello del vino.
A Tabui non facciamo pagare al grammo il tartufo ma viene servito già grattato e con prezzi fissi. Cerchiamo di mettere la quantità che noi riteniamo sia necessaria per poterlo apprezzare a pieno. La grattata al grammo spesso limita i clienti con poca disponibilità economica che, per risparmiare, rinunciano ad assaporare il corretto bilanciamento dei gusti.
Riusciamo a fare questo perché noi tagliamo i costi di intermediazioni e a non far aumentare il prezzo di troppo sul menù. Soprattutto non facciamo magazzino: lo prendiamo in base alle necessità così da non doverlo per forza smaltire. Sembriamo un ristorante di fascia medio-alta ma in realtà siamo molto competitivi sui prezzi.

Qual è, secondo te, la migliore maniera per vendere e gestire il tartufo?
Prima di tutto grattare al tavolo è costoso: bisogna avere sempre una persona che lo faccia e francamente, essendo solo una cosa estetica, noi pensiamo che non sia necessario farlo. Bisogna inoltre conoscere il prodotto e i fattori che possono incidere sul risultato finale. Per esempio bisogna saper riconoscere lo stato di maturazione del tartufo per quantificarne le corrette dosi.
Da Tabui abbiamo un piatto degustazione in cui è possibile assaporare anche il mix di tartufi della stagione. Il mix va bene quando si hanno più pietanze, come due antipasti, perché permette di assaggiare tartufi diversi e poterli comparare. Tendenzialmente sui piatti caldi grattiamo il bianchetto e su quelli freddi il nero.
Miti da sfatare sul tartufo?
Si dice che il tartufo debba essere messo nel riso e in frigorifero per conservarlo ma è sbagliatissimo. Il tartufo è composto per il 90% da acqua e se lo metti nel riso si asciuga totalmente. La maniera migliore per conservarlo è in un barattolo di vetro o in un tessuto in frigorifero per massimo una settimana. Ogni tanto si apre il barattolo per permettere di far uscire l’umidità in eccesso ma più è fresco meglio è.
E per quanto riguarda i vini cosa suggerisci?
Recentemente abbiamo cambiato la struttura della carta dei vini e siamo rimasti increduli dei risultati. Abbiamo voluto ordinare le bottiglie in base alla selezione dei vitigni: il dolcetto, che nessuno prendeva, è tornato a vendere. Sono rimasto basito perchè nell’arco di una settimana abbiamo raddoppiato la vendita: bastava spostarli in alto.
Quando si compra un vino bisognerebbe conoscere i propri gusti per riuscire a riconoscere, ritrovare o evitare determinate bottiglie. Ad esempio se non piace il vino molto legnoso e fatto in botte piccola basta individuare queste caratteristiche per capire di non dover prendere vini simili.

Cosa ne pensi del progetto Deliveristo?
È stato Lorenzo a scoprire Deliveristo. Prima facevamo riferimento a tanti fornitori con mille telefonate, problemi di consegna e tanto altro. Devo dire che è una bella scoperta e ci permette di efficientare molto la nostra fornitura.
Quali sono i nuovi trend che hai notato?
Ho letto nell’ultimo rapporto sulla ristorazione che questo è il primo anno in cui il numero di ristoranti aperti sono diminuiti. Secondo me questo ridimensionamento gastronomico è positivo perché ci sono troppi ristoranti e spesso sono molto concentrati.
Vedo inoltre che si punta sempre più a voler mangiare bene, c’è un ritorno al territorio e secondo me questo è un trend assolutamente favorevole. Oppure, se il focus è il prodotto è sempre più possibile scegliere il locale più adatto per quello che si vuole mangiare come ad esempio: voglio una cena di sole interiora vado in quel posto o se voglio mangiare tartufo vado nell’altro. C’è più differenziazione.
Il problema del personale è sentito anche a Torino?
Anche qui abbiamo problemi nella ricerca del personale ma più in cucina che in sala poiché soprattutto dopo il covid le persone hanno capito che la vita è una e non la si vuole più vivere chiuso in una cucina. Per la cucina non si trova più nessuno che sia disponibile e il turnover è mostruoso, non facciamo in tempo di formare una persona che se ne va.
In sala notiamo meno professionalità: viene a volte considerato un lavoro di reimpiego ed è diventato un lavoro principalmente per studenti. All’estero è diverso perchè ci sono più over 30 che lavorano in sala mentre in Italia è quasi impossibile trovare una persona di 50 anni se ci si pensa.
Siamo talmente disabituati che quando si vede una persona più grande a servire al tavolo ci si sente quasi a disagio. Invece è proprio quella persona che probabilmente ha un sacco di esperienza e saprà gestire al meglio l’intero servizio. La sala è assolutamente importante perché è a diretto contatto con i clienti che vogliono uscire per stare bene.
